Nell’anno del ventennale dello SVE abbiamo deciso di pubblicare una testimonianza della nostra amica Anna Francesca, da poco rientrata da uno SVE in Polonia. Buona lettura!

Fra gli obiettivi generali ufficialmente riconosciuti dei progetti targati Erasmus Plus abbiamo quello di alzare il livello di educazione in Europa, favorire la mobilità e creare più occupazione, il raggiungimento di una cooperazione europea strategica da un punto di vista educativo, rendere più semplice il riconoscimento di certificati e attestati a livello europeo, sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovere i valori dell’Unione Europea.

Sono tutti valorosi propositi e ambiziosi traguardi, che uniti alla voglia di avventura e all’entusiasmo di chi parte, hanno buone probabilità di essere raggiunti.

Ho avuto l’onore e il piacere di prendere parte a due progetti Erasmus+ e un progetto EVS (European Voluntary Service), ho tantissimo da raccontare al riguardo; queste “avventure” costituiscono oramai un tassello molto importante fra le mie esperienze di vita! Un Erasmus+ non offre solo le possibilità sopra descritte (che già di per sé costituiscono ottimi motivi per riempire la valigia e partire); ci si ritrova catapultati in un posto nuovo, fra gente sconosciuta parlante un’altra lingua (spesso anche molto lontana dalla propria) con abitudini diverse, modi di vivere differenti da quelli conosciuti, abitudini culinarie magari opposte: tutto questo spaventa ed entusiasma allo stesso tempo.

La prima cosa che vien naturale è CONDIVIDERE… Il proprio tempo, le esperienze già vissute, i propri spazi, il panino a pranzo o magari il phon per i capelli: gesti che nella vita quotidiana impieghiamo un po’ a compiere verso le persone che abbiamo accanto, magari anni, ma che in un Erasmus si concretizzano in poche ore: non ci si ferma un attimo a decidere se scambiare delle battute o passare dei cracker ad una ragazza che ti si è appena presentata: lo si fa e basta. E da qui nascono chiacchierate, cene insieme, nottate trascorse a parlare, a cantare. Non ci sono più francesi, lituani, tedeschi o italiani, ma solo giovani curiosi di sapere quanto più è possibile l’uno dell’altro, delle abitudini del Paese di provenienza di ciascuno, degli studi compiuti, di tutto: ogni argomento diventa importante per aprire una discussione seria o magari per essere fonte di battute o scherzi o piuttosto una chiacchierata mentre si svolgono le attività previste dal progetto.

Un esperienza Erasmus+ è importante per gli obiettivi generali per cui è stato creato, ma da qui scaturisce qualcosa di ancora molto più grande: l’abbattimento di ogni barriera, il sentimento di amore verso il “diverso”, verso il “nuovo”, che questa esperienza riesce a creare, è qualcosa di quasi magico. L’abbraccio alle altre culture diventa fisico: decine di giovani che si conoscono da poche ore si abbracciano e bevono una birra insieme come se fossero amici da anni, si raccontano storie alle quattro del mattino, giacciono addormentati spalla contro spalla nel bus come migliori amici ai tempi del liceo. Un’esperienza del genere ti spoglia da ogni pregiudizio e al ritorno in patria il peso che ogni giovane erasmus porta con sé non è solo quello della valigia: tante immagini e pensieri sono accumulati nella mente: nuovi posti conosciuti, nuovi gusti assaporati di piatti mai assaggiati prima, i sorrisi e i discorsi degli altri ragazzi che ti hanno accolto e ti hanno ringraziato per essere stati a loro volta accolti da te, gli insegnamenti e l’entusiasmo dei tutor, e ancora tutti i momenti trascorsi insieme con questi sconosciuti compagni di viaggio che nel giro di poche ore sono diventati fratelli. E soprattutto, la tristezza di aver dovuto lasciare tutto questo: ma sovrana impèra la promessa di rivedersi, magari di andare a farsi visita durante l’estate, la curiosità di vedere con i propri occhi i posti in cui questi nuovi amici vivono, di imparare ancora, di migliorare l’inglese per riuscire a parlare ancora meglio con questi amici (e non più per prendere il voto più alto all’esame!!!) di trascorrere ancora del tempo insieme e nel frattempo sentirsi perché sì, adesso abbiamo Facebook, abbiamo Whatsapp, un turbinio di numeri scambiati all’ultimo minuto prima della partenza, un ripetersi nomi e cognomi per cui in certi casi non basta un “Can you spell it, please?” ma si passa al “Write here” porgendo all’interlocutore carta e penna.

E ogni “goodbye” diventa un “see you soon”.

Sono rientrata in Italia due settimane fa, dopo aver trascorso un mese in Polonia per un progetto EVS, “St. Nicolas”, presso l’associazione Wiatrak. La destinazione era Bydgoszcz, sembra un codice fiscale ma in realtà è una città in provincia di Varsavia; quattordici ore in totale di viaggio fra voli, treni e attese e infine ero lì, nella stazione centrale di questo paese sperduto nel nord della Polonia, ad osservare un paesaggio imbiancato e la neve che scendeva lenta. La mia mentor, Agata, era lì ad aspettarmi, una ragazza simpaticissima che mi ha accolta con un sorriso e con una risata davanti alla mia espressione un po’ apprensiva, nervosa; mi ha accompagnata all’appartamento assegnatomi, informandomi sugli arrivi degli altri volontari (il progetto ha coinvolto quattro Paesi, Italia, Germania, Ungheria e Portogallo, con due partecipanti per ogni nazione). In appartamento ho conosciuto Céline (francese), Laura proveniente dalla Romania, Kasia dalla Polonia. Dal primo momento queste ragazze hanno dimostrato la loro gentilezza, la loro disponibilità e la loro voglia di conoscermi. Eccetto Kasia (studentessa di Medicina) le altre due erano volontarie a lungo termine del progetto al quale stavo per prendere parte anche io.

Durante i primi giorni, man mano che giungevano in Bydgoszcz dopo lunghi viaggi,ho conosciuto tutti gli altri ragazzi del progetto, Fàbiàn e Panka (Ungheria) Pilar e Andrè (Portogallo), Vanessa e Sarah (Germania) e Gianni l’altro volontario italiano. L’impressione che ebbi di loro-poi confermata nei giorni successivi-fu molto positiva. In seguito abbiamo conosciuto gli altri volontari dell’associazione, ragazzi molto allegri con cui abbiamo condiviso soprattutto i nostri pomeriggi e le nostre serate. Momenti davvero piacevoli e divertenti. Siamo stati un bel team, abbiamo trascorso con entusiasmo le ore di lavoro insieme (presentazione dei nostri Paesi di provenienza all’interno delle scuole superiori e programmazione di attività per bambini), ma soprattutto abbiamo organizzato ogni pomeriggio, ogni serata insieme, ogni weekend viaggiando da un capo all’altro della Polonia, visitando alcune fra le città più importanti del Paese come Cracovia, Varsavia e Danzica; l’integrazione fra le diverse culture è stata totale, non c’è stato alcun momento di disappunto fra noi, al contrario si è sempre interagito serenamente, accogliendo e considerando ogni idea, ogni visione individuale; il rispetto fra noi è stato massimo. Il piacere e la voglia di stare insieme prevalevano sempre su tutto. Il distacco è stato molto triste, la fine del progetto e il rimpatrio sono giunti fin troppo presto.

Ma siamo ritornati a casa davvero arricchiti di tutto ciò che questo viaggio ci ha donato (fra cui diversi gruppi whatsapp su cui ogni giorno ci si continua a sentire).

Sono molto felice di aver compiuto quest’esperienza, una delle più importanti e significative avute finora.

Ogni progetto Erasmus Plus costituisce per ciascuno di noi carica vitale e stimolo per migliorarsi, per imparare per noi stessi e per chi ci sta intorno, è un’occasione per offrirci e per offrire al prossimo, a qualunque prossimo, quanto abbiamo da dare.

Anna Francesca Piccinno

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