La garanzia del reddito è un tema importante. Non è difficile capire quanto il possesso, o l’assenza, di un determinato livello di reddito condizioni le nostre scelte, la nostra indipendenza, la nostra libertà e la nostra dignità. Per usare un’espressione che risale al padre dell’economia, Adam Smith, la nostra capacità di “mostrarci in pubblico senza vergogna”.
Chi è interessato alla promozione sociale e alla lotta alla povertà non può dunque che considerare con interesse ogni iniziativa politica che si proponga di garantire ad ogni cittadino un livello di reddito che gli permetta di vivere al di sopra della soglia di povertà. È quanto cerca di fare il ddl denominato “ReD” (Reddito di Dignità) approvato dalla Giunta Regionale Pugliese l’11 novembre 2015 e che ora inizierà il suo iter di approvazione, un iter che prevedibilmente si concluderà con l’assenso finale del Consiglio Regionale.
In sintesi il ddl intende istituire un reddito di dignità per nuclei familiari, allo scopo di migliorare le condizioni economiche di quanti vivono in povertà assoluta e sarà assegnato a tutte le famiglie con risorse economiche inferiori ad una determinata soglia reddituale e patrimoniale (ISEE < 3000 euro). Il trasferimento economico sarà quantificato in modo differenziato sulla base della scala di equivalenza ISEE e la composizione familiare, potendo raggiungere la cifra massima di 600 euro mensili per una famiglia di 5 o più componenti. La durata massima dell’intervento per ciascun richiedente e beneficiario del contributo monetario sarà di 12 mesi.
Il ReD pugliese è una misura di sostegno al reddito condizionata (conditional cash transfer). Per tanto i beneficiari dovranno rispettare determinate condizioni e obblighi; quello che è stato descritto come un “patto” tra Regione e famiglia ricevente. La concessione del reddito di dignità sarà accompagnata da opportunità formative e un programma di inclusione sociale e lavorativa, sotto forma di “tirocinio socio-lavorativo”. A tal fine si sottoscriverà un patto individuale di inclusione sociale attiva in forma scritta tra il Comune capofila dell’Ambito territoriale di riferimento e il soggetto richiedente con il proprio nucleo familiare. Questo documento conterrà il percorso integrato di inclusione sociale attiva, stabilendo, con riferimento all’intero nucleo familiare, gli obiettivi di inclusione sociale, di occupabilità e di inserimento socio-lavorativo; gli impegni e gli obblighi reciproci; i risultati attesi dal percorso di inclusione. Si decade dal ReD in caso di assenza ingiustificata dal luogo del tirocinio superiore a tre giorni e/o in caso di un miglioramento della condizione reddituale.
Circa la dotazione finanziaria si stima, in particolare, che la combinazione della fonte di finanziamento costituita dal FSE e della fonte nazionale, possa assicurare tra i 50 e i 60 milioni di euro su base annua, cui si può aggiungere la dotazione di uno specifico fondo regionale da bilancio autonomo; si ipotizzano 5 milioni, pari cioè a circa il 10% del costo totale stimato per la prima annualità.
Se questi dati, in particolare quelli dell’impegno economico previsto, saranno confermati, si tratta certamente di una politica sociale di una certa importanza. Proprio la sua rilevanza richiede un supplemento di riflessione e un ampio informato dibattito circa i rischi e le possibilità di questo programma di sostegno al reddito, al quale DEMOSTENE Centro Studi vuole offrire il suo contributo. Sin dalla sua fondazione, infatti, il nostro Centro Studi si è impegnato nella promozione di una innovativa forma di politica sociale che è il reddito di base (un unconditional cash transfer, in cui cioè le condizioni di accesso sono estremamente ridotte, e solitamente legate alla cittadinanza – o residenza – e all’età) ed è molto attento ad ogni forma innovativa di sostegno economico atto a contrastare la povertà e promuovere lo sviluppo umano.
Tornando al ddl pugliese, un programma molto simile è quello da oltre un decennio attivo in Brasile: il Bolsa Familia. Con il Bolsa Familia, le famiglie ricevono un contributo economico a fronte di un “patto”, soprattutto legato alla corretta cura dei figli (vaccinazioni, rispetto dell’obbligo scolastico, buone condizioni di salute). Questo programma ha permesso negli anni di ridurre drasticamente la povertà assoluta e la mortalità infantile, incrementando inoltre il livello di scolarizzazione delle classi più povere. Le condizionalità previste sono state efficaci perché poche, semplici e poco invasive.
Non è ancora chiaro, invece, in che cosa concretamente consisterà il “patto con la famiglia” previsto dal ReD, e quanta libertà di scelta sarà concessa ai beneficiari. Ma certamente è proprio su questa possibilità di determinare la propria vita, sul grado di libertà e scelta tra varie possibilità di formazione e di lavoro, che si gioca il carattere di “promozione sociale” o di misura meramente assistenziale della proposta pugliese. Parlando del sistema assistenziale americano, un sistema di cui egli stesso ha beneficiato, il sociologo Richard Sennett ha nei suoi scritti stigmatizzato la tendenza degli operatori del welfare state a sostituirsi al beneficiario; la loro incapacità di vederlo come un soggetto adulto capace di scegliere il meglio per sé, se solo gliene sono offerti gli strumenti e la possibilità. Una carenza di rispetto della persona che produce resistenze, chiusure mentali, atteggiamenti non onesti in chi da un lato si trova nella necessità di accettare qualunque aiuto possa giungere, ma dall’altro si sente giudicato e sorvegliato speciale.
Inoltre crediamo che una modifica del valore dell’assegno “in corso d’opera” fino all’eventuale sospensione del contributo prima dei 12 mesi originariamente concessi a causa di miglioramenti della condizione reddituale, più che una misura di equità si possa trasformare in un incentivo a restare inattivi, almeno fino a quando si possa beneficiare di ‘soldi gratis’. Perché qualcuno dovrebbe sentirsi stimolato a cercare una posizione di lavoro più stabile da subito, se quei 600 euro al mese ottenuti dal nuovo impiego (al costo magari di 6/8 ore lavorative) causa la decadenza dai 600 euro del ReD ottenuti a condizioni più vantaggiose?
Si tratta di una reale criticità del ddl che, a nostro parere, richiederebbe di essere corretta. Se infatti i soggetti entrati nel programma sapranno di poter contare per 12 mesi su una base reddituale certa, che non gli sarà comunque sottratta anche individuando altre forme di reddito, saranno maggiormente spronati a cercare il prima possibile una posizione lavorativa che gli permetterà innanzitutto di mettere da subito qualcosa in più da parte (o far fronte a spese – di salute, miglioramento abitativo, investimento nel futuro dei figli – fino ad allora procrastinate) e quindi di avere un’entrata certa anche alla fine dei dodici mesi del programma di sostegno.
Siamo consci del fatto che utilizzando tra le fonti di finanziamento il Fondo Sociale Europeo (FSE) il Reddito di Dignità pugliese non può assumere la forma di un reddito di base incondizionato ed universale, strumento che riteniamo il più adatto ad assicurare le condizioni essenziali per una vita libera e dignitosa. Il FSE può, infatti, essere utilizzato solo per la realizzazione di misure attive di valorizzazione del capitale umano. Siamo fiduciosi però nel fatto che la Regione possa, sia attraverso modifiche del ddl sia nei successivi decreti attuativi, conciliare i requisiti di accesso e mantenimento del ReD con l’autonomia, il protagonismo e l’intraprendenza personale dei beneficiari.
La Puglia negli anni si è spesso contraddistinta come laboratorio di cambiamento e innovazione sociale. Basti pensare a strumenti quali il NIDI o il pacchetto Bollenti Spiriti, con le varie iniziative Ritorno al Futuro, Principi Attivi ecc. Questi programmi sono rivolti ai giovani non in quanto soggetti svantaggiati da sostenere o categoria a rischio da proteggere, ma come persone da valorizzare nelle loro capacità e da sostenere nel loro desiderio di realizzazione, di formazione, di incidere in modo originale sulla realtà che li circonda. A differenza dei tradizionali sistemi di welfare, lo spirito di queste politiche non è stato “risolvere il problema dei giovani” ma offrire loro strumenti per esercitare iniziative in autonomia, incoraggiandoli a mettersi in gioco per raggiungere i propri personali obiettivi e allo stesso tempo contribuire allo sviluppo collettivo.
L’istinto (e il rischio) paternalista è sempre molto forte quando si disegnano politiche sociali, ma è un impulso al quale occorre imparare a resistere perché esso promuove nei beneficiari, a causa di eccessivi controlli e condizioni, proprio gli stessi mali e bad habits che vorrebbe risolvere: dipendenza dal sostegno pubblico, disimpegno nella ricerca di un autentico miglioramento della propria vita, dissimulazione delle proprie condizioni economiche per accedere (o non perdere) il diritto al beneficio.
Le esperienze e i dati raccolti in questi anni permettono alla Puglia di proseguire per un’altra strada. La strada della fiducia nel proprio popolo e nella volontà dei pugliesi di essere protagonisti del proprio futuro. È la strada sulla quale speriamo la Puglia continui. È la strada su cui noi, come associazione di promozione sociale, abbiamo deciso di camminare.
Emanuele Murra e Gianfranco Gatti
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Molto interessante Emanuele, l’articolo mi ha riportato alla mente il discorso di Pertini sulla necessità di uno stretto legame tra libertà e giustizia sociale. La “revisione” di certe politiche di welfare nella direzione di una valorizzazione delle specificità individuali mi pare un tema massimamente degno di attenzione. Ottimo articolo.