Foto di Husna Miskandar su Unsplash
Qualche giorno fa, chiacchierando di deworking1 con un’amica, mi diceva che sta tenendo dei laboratori motivazionali con i docenti di scuola superiore, e mi ha raccontato un esperimento interessante. Durante uno di questi laboratori, ha chiesto ai docenti in che percentuale si sentissero insegnanti e in che percentuale si identificassero con altre attività. I risultati sono stati piuttosto rivelatori. I docenti con più anni di anzianità si sono identificati con il loro ruolo di insegnanti in modo molto forte. Ad esempio un docente storico con molti anni di servizio ha affermato di identificarsi al 100% come insegnante. I docenti più giovani, invece, hanno indicato percentuali più basse; in particolare, una docente ha dichiarato di sentirsi per il 30% insegnante e per il 70% cantautrice, nonostante dedichi circa 40 ore settimanali alla scuola tra lezioni, consigli di classe e laboratori.
Questo esperimento ci dice una cosa molto interessante: oggi le persone non si identificano più principalmente nel lavoro che svolgono, ma trovano la loro identità e soddisfazione nelle attività che fanno dopo il lavoro. Secondo un’indagine di Randstad, le nuove generazioni non sono più interessate a fare carriera e a raggiungere ambizioni professionali ma tendono a reindirezzare le proprie ambizioni personali dal lavoro alla vita personale. Si tratta di un fenomeno nuovo denominato “era della tranquilla ambizione (Quiet Ambition)”.
Soprattutto dopo la pandemia da covid, le ambizioni e l’identità delle persone si sono trasferite nel trovare realizzazione in ciò che si fa dopo il lavoro. Sempre secondo l’indagine Randstad, alla domanda su cosa desiderano gli italiani nella ricerca di un lavoro, “il sentirsi realizzati” si trova solo al quarto posto. Si cerca quindi meno la realizzazione nel lavoro e più nel volontariato, nell’arte, nell’artigianato, nel coltivare un pezzo di terra, nello sport, ecc.
Lavorare 36/40 ore settimanali oggi non ha più senso: è tempo perso che non contribuisce necessariamente alla produttività. Anzi, sempre più studi dimostrano che lavorare meno aumenta la produttività.
Un lavoratore che ha più tempo per sé è un lavoratore più felice e motivato. La riduzione delle ore lavorative riduce lo stress e migliora la qualità della vita, portando a una maggiore efficienza durante le ore di lavoro effettive.
Più tempo libero consente alle persone di esplorare nuove passioni e interessi, stimolando la creatività e portando a idee innovative che possono essere applicate anche sul posto di lavoro.
Un migliore equilibrio tra vita lavorativa e personale permette alle persone di essere più presenti e attive nelle loro comunità, migliorando il tessuto sociale e creando un ambiente più coeso e supportivo.
Con più tempo libero, le persone sono più inclini a partecipare ad attività di volontariato, contribuendo al benessere della comunità e supportando cause sociali importanti.
Con più tempo a disposizione, le persone possono dedicarsi alla creazione di eventi e iniziative che arricchiscono la vita comunitaria, favorendo un fermento positivo e l’emergere di nuove idee e progetti. Persino l’economia locale ne beneficia creando più ricchezza e nuove opportunità di lavoro in settori diversi.
I portavoce di questa rivoluzione sono gli appartenenti alla Generazione Z, che, secondo uno studio di Visier, ritengono che, dato il futuro incerto e preoccupante del pianeta, non valga la pena dedicare tutto il nostro tempo al lavoro.
Le aziende e le amministrazioni pubbliche hanno un ruolo cruciale nel promuovere la felicità e la realizzazione dei lavoratori e di incoraggiare questo fenomeno di deworking. Attraverso politiche di maggiore flessibilità, l’adozione della settimana lavorativa corta e l’offerta di vari benefit, possono creare un ambiente di lavoro più sano e produttivo. Questo non solo migliora la qualità della vita dei dipendenti, ma ha anche effetti positivi sulla produttività, la lealtà dei lavoratori e il benessere della società nel suo complesso.
Il deworking è amico delle aziende, perché crea lavoratori felici, più produttivi, crea società migliori e, paradossalmente, genera più ricchezza.
1Un termine che ho coniato e che ho messo come obiettivo della mia vita personale a partire dal 2025 quando buona parte dei progetti su cui lavoro andranno in chiusura.
Gianfranco Gatti
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